sabato 25 gennaio 2014

Deserto

Sarai contento adesso.
Tu, essere incapace di amare.
Sarai contento adesso.
Allevatore di aridità.
Era questo che volevi? Hai distrutto tutto. Mi hai distrutta tutta.
Mi hai plagiata a tua immagine e somiglianza. Arida. Incapace di amare.
Sarai contento adesso.
Ce l'hai fatta. Con la tua possessività travestita d'amore e la tua insicurezza travestita da gelosia.
Mi hai strappato via ogni tenerezza, ogni sensibilità, ogni emozione. 
Mi resta solo quello che già ho, fino a quando non li perderò. E non c'è redenzione per noi, come un frutteto a cui è stato sparso del sale. 
E non riesco ad odiarti perché non c'è sentimento in questo cuore arido. Non c'è rimasto nulla, per nessuno.
Continui a vivere la tua splendida vita, rendendo arido qualcun'altro, strappando l'amore che non sei in grado di provare da cuori fragili a cui non resterà più nulla dopo che avrai finito. 
Credevo allevassi farfalle, invece le sterminavi e basta. Spargendo sale.
E adesso, al posto del frutteto, c'è il deserto. E a sentire te, è tutta colpa mia...

lunedì 6 gennaio 2014

Il disagio

E' il terzo giorno di fila che apro questo blog con l'intento di scrivere e lo richiudo. Appallottolando metaforiche pagine di carta telematica dopo aver scritto due righe.
E' così già da un po'...
Ma il vaso è pieno, e non si può ignorare l'incessante e doloroso impulso di metter nero su bianco qualcosa che ancora non si ha ben chiaro cosa sia. E questo non è mai cambiato.
Già da un po' mi ritrovo a vagare per le vecchie pagine di questo blog, che è sempre lo stesso da quando è stato aperto. 10 anni fa. E non ho mai eliminato neanche un post, nonostante parecchi di essi mi creino imbarazzo. Beh, diciamo quasi tutti.
Non ci si accorge di crescere, a un certo punto ti guardi indietro e ti chiedi quando sia successo. E che il disagio, che non scompare mai, che si vive dentro la propria pelle, non sparisce ma si attenua, si evolve. Molto spesso mi sono ritrovata a guardarmi attorno e a sentirmi inadeguata. Fuori posto. Troppo stupida o troppo intelligente.  E che forse non ero l'unica a sentirmi così, ma che altri, come me, cercassero di nasconderlo nel migliore dei modi. Per conformarsi.
E poi alla fine ci si stufa di aspettare che il disagio passi.
Ci si arrende al disagio.
Si impara a conviverci.
Ci si avvolge con esso come un abito a festa.
Fino a quando non lo senti più perché è talmente parte di te da non accorgerti della sua fastidiosa presenza. Tanto che smette di essere qualcosa da nascondere ma una stranezza che gli altri trovano interessante, senza capire bene cosa sia.
Per sentirti dire che sei una persona particolare. O altre puttanate simili.
Vorrei urlarlo a volte. Davvero! Mettermi ad urlare come una pazza che non ho nulla di speciale, anzi! Che mi sento così a disagio con il prossimo che ho bisogno di avvolgermi nella mia saccenza e snobbismo per non mostrarmi vulnerabile. Che non sono forte, affatto, ho solo paura. Che se non mi tengo stretta me stessa, il mio cuore potrebbe rompersi in milioni di piccolissimi pezzi che non saprei più ricostruire. Che un complimento mi manda in crisi e una stupida canzone mi fa piangere. Che se un ragazzo ci prova comincio a tremare e devo avvolgermi nella sicurezza più spietata per non scappare. Che ho dovuto indurire talmente tanto il cuore, tanto da non riuscire più a riconoscere me stessa negli stralci di parole scritte in passato. Fino al punto di non riconoscermi più, di stravolgermi. Di distruggermi e ricostruirmi. E che lo faccio in continuazione perché non sono brava con il costruire. E mi vengo sempre male. E ogni volta devo ricominciare d'accapo.
Che sono terribilmente a disagio.
E ho davvero paura che qualcuno possa vederlo. E calpestarmi. Ancora una volta.
E che ho davvero bisogno di convincermi che non sono io quella sbagliata, perché potrei morirne.
E ho smesso anche di scrivere perché a forza di tenermi tutto dentro, le parole mi sono rimaste incastrate nella gola, nelle dita, nella pancia. E non sanno più trovare la strada per vomitarsi fuori. E che ho bisogno della musica per strapparmele via. E ogni volta è un cazzo di parto gemellare podalico con un travaglio di 20 giorni. E non è mai abbastanza... Non è mai finita. Il vaso non è mai vuoto...
E ci rimane sempre qualcosa che non ho detto.
Qualcosa che resta incastrato e non vuole uscire.
Qualcosa che non riesco a vomitare via.
Poi l'ansia si attenua e l'isteria del mio disagio rientra nel suo stato di allerta. Torna a livelli sopportabili. Nella norma. Come una tempesta che si placa fino a una pioggerellina leggera. E io torno nel mio stato catatonico di accumulo inconsapevole. Dicendomi che domani passerà. Dicendomi che prima o poi crescerò e troverò un posto nel mondo in cui starò bene. Un posto che chiamerò casa.
Il solito circolo vizioso.